La disfatta di Matapan,  Storia

La disfatta di Matapan (1^ di 4 parti)

a cura di Michele Striamo

Genesi

Il 13 e 14 febbraio 1941 nella città di Merano si riunirono gli alti comandi navali italiano e germanico. Era la prima volta che il fresco di nomina Riccardi si incontrava con il parigrado Erich Raeder. La Regia Marina si presentò al convegno con tutto il fardello delle delusioni di quei primi sei mesi di guerra: scarsa aggressività della squadra da battaglia, impiego quasi nullo dei sommergibili, soggezione all’iniziativa nemica e, non ultimo, lo schiaffo del bombardamento navale di Genova subito appena quattro giorni prima. Ben altro poteva vantare l’Amm. Reader: non solo l’uso aggressivo delle forze subacquee, ma la grande operazione di conquista della Norvegia dove era riuscita a beffare la Royal Navy.

Facendo pressioni sulla differenza di risultati conseguiti dalle due marine, Reader sollecitò operazioni offensive di navi italiane sia in appoggio al trasferimento di quei mesi dell’Africa Korps in Libia, sia per contrastare i sempre più frequenti convogli inglesi diretti in Grecia in previsione del prossimo attacco tedesco alla penisola balcanica.

Queste pressioni fecero effetto e Riccardi riportò da Merano la convinzione politica che occorresse fare qualcosa per dimostrare a Berlino che la Marina italiana possedeva iniziativa e decisione. Così furono accelerati i lavori di completamento delle difese del Mar Grande a Taranto, trampolino di un offensiva italiana verso le acque fra l’Egitto e la Grecia per tagliare il continuo flusso di rifornimenti che gli inglesi inviano in aiuto al governo di Atene.

Il piano di Operazione

Appare evidente che per un efficace contrasto di un continuo flusso di convogli carichi di rifornimenti, scortati solamente da forze leggere, la migliore soluzione consisteva nell’intensificare nella zona gli attacchi di sommergibili e di inviare periodicamente veloci formazioni navali composte da un paio di incrociatori e una squadriglia di Ct. in modo da tenere sempre sotto pressione il nemico. A questo scopo gli ottimi incrociatori della VII e VIII Div. si sarebbero potuti alternare in mare. La Regia Marina, per motivi politici, scelse invece la strada della missione in grande stile, di fatto irripetibile. Venne così deciso di far uscire l’elitè della nostra flotta per un totale di una Nb., 8 Incrociatori, e 13 Ct., il tutto per contrastare convogli solitamente composti da 4 – 5 mercantili accompagnati da un incrociatore e alcuni Ct. Anche Supermarina si rese conto della sproporzione di forze e per questo fu deciso di dividere le forze per compiere due distinte incursioni:

  • La Nb. Vittorio Veneto, i veloci incrociatori della III Div. (Trento, Trieste e Bolzano) e la XII e XIII Squadriglia Ct. al comando dell’Amm. Iachino, avrebbero dovuto effettuare un incursione a sud dell’isola di Creta, tenendosi nel raggio di azione degli aerei italiani basati in Libia e in Egeo.
  • Gli incrociatori Zara, Pola, Fiume della I Div. e l’VIII Div. (Garibaldi e Duca degli Abruzzi) con la IX e VI Squadriglia Ct. al comando dell’Amm. Cattaneo avrebbero dovuto effettuare un incursione a nord di Creta addentrandosi nell’Egeo.

Appare evidente il rischio che correvano le nostre navi: lontane dalle basi nazionali, avrebbero operato in zone di mare infestate dall’aviazione nemica; la decisione di dividere le forze acuì ancora di più questi problemi data l’impossibilità dell’aeronautica di proteggere entrambi i gruppi. Così mentre gli Ammiragli e Generali si incontravano per migliorare la cooperazione aerea, che si può migliorare solamente con un serio addestramento e non con le parole la missione veniva approvata e fissato il giorno: le navi sarebbero salpate la sera del 26 marzo 1941.
(fine 1^ parte)

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