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Il marinaio Pietro di Capua

di Antonio Cimmino

…Cacciatorpediniere Alfieri (Matapan28 marzo 1941)

Pietro nacque a Napoli il  1917 da Nicola e Francesca Luise, aveva un solo fratello Salvatore, e ben sette sorelle (Paola, Anna, Giuseppina, Maria, Lucia, Olga e Flora). Per motivi di lavoro la famiglia andò ad abitare a Castellammare di Stabia, nel cui cantiere navale il fratello Salvatore era capo squadra dei reparto dei saldatori elettrici. Una qualifica, questa abbastanza nuova per l’epoca in quanto le navi erano tutte chiodate e la maggior parte degli operai erano calafati e ribaditoi. Le lamiere di fasciame, quelle dei vari ponti, la chiglia e tutte le strutture interne, sia longitudinali e sia trasversali, erano unite tra loro da chiodi inseriti a caldo nei fori e ribaditi con martelli pneumatici.
Arruolato nella Regia Marina, Pietro fu inviato a La Spezia per partecipare al Corso per Segnalatori Direzione Tiro. Quella di S.D.T. era una categoria specialistica perché di vitale importanza per fornire ad una centralina, le coordinate e dati per il puntamento delle artiglierie di bordo. A quell’epoca i tiri non erano tanto precisi ed i cannonieri si affidavano ai Segnalatori D.T. ed ai Telemetristi per le distanze e le angolazioni per colpire le unità nemiche. La mimetizzazione delle carene delle navi serviva infatti anche  a confondere gli operatori nemici  addetti al puntamento dei cannoni. Pietro dopo aver conseguito il relativo brevetto fu destinato a Taranto sul cacciatorpediniere Vittorio Alfieri.

L’Alfieri era una unità della classe Poeti varata dall’O.T.O. di Livorno nel 1936, con un dislocamento di  circa 2300 tonnellate, lunga 106.7 metri larga 19,2 e con un’immersione di 4,3 metri. Tre caldaie e due turbine sviluppavano una potenza di 48.000 cavalli e le due eliche gli imprimevano una velocità di 39 nodi. 4  cannoni da 120/50 mm, 2 pezzi da da 37/54 mm, 6 mitraglie da 20/65 mm, 6 tubi lanciasiluri da 533 mm e 2 lanciabombe costituivano il suo armamento.

Allo scoppio della guerra, dunque, Pietro era già un bravo marinaio e si trovava a Taranto ove l’Alfieri era inquadrato, come capo squadriglia, unitamente al Carducci. Oriani e Gioberti nella IX Squadriglia Cacciatorpediniere della I Squadra di base in tale città. Sull’Alfieri ritrovò i suoi compagni di corso Cornelio Carpeneti, Antonio Improta, Luigi Minetto, Salvatore Peraino e Rocco Rizza. Pietro ebbe il suo battesimo del fuoco allorquando l’Alfieri partecipò, dopo pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia, agli scontri di Punta Stilo e Capo Teulada.
A Punta Stilo, l’Alfieri era nella Squadra Navale agli ordini dell’Ammiraglio Inigo Campioni, scontro avvenuto il 9 luglio 1940, contro le navi della Marina inglese e quella australiana durante una operazione di scorta convogli in Libia.  A Capo Teulada (battaglia di Capo Spartivento) il 27 novembre 1940 le due Squadre navali, la Regia Marina e la Royal Navy britannica, si scontrarono senza che una prevalesse sull’altra, tanto è vero che i rispettivi Stati Maggiori navali furono soggetti ad inchieste ed avvicendamenti.
Nel frattempo, nella notte tra l’11 ed il 12 novembre dello stesso anno, un attacco aereo inglese su Taranto, distrusse la maggior parte delle navi italiane ivi ormeggiate. Subirono danni le corazzate Duilio e Littorio e il Cavour. Per quest’ultima furono inviati dalla Navalmeccanica, diversi operai da Castellammare di Stabia per la sua riparazione e, tra questi, il capo operaio Salvatore Di Capua fratello di Pietro. Salvatore era ansioso di abbracciare il fratello che non vedeva da tempo ma, appena arrivato a Taranto, lAlfieri già era salpato. I due fratelli non si incontreranno mai più.  Questo episodio me lo ha raccontato Pietro,  figlio di Salvatore che mi ha anche consegnato la fotografia dello zio in una cornice d’argento. L’unico ricordo del loro congiunto.
LAlfieri andò incontro al suo destino, nella notte del 29 marzo 1941 nelle acque greche in corrispondenza di Capo Matapan (1). In tale zona – 35°21’N – 20°57? E — la flotta inglese  (2)sorprese ( già utilizzava una specie di radar che le navi italiane non possedevano) la squadra navale composta dalla corazzata Vittorio Veneto, dagli incrociatori Pola, Fiume, Zara, Trieste, Trento, Duca Abruzzi, Garibaldi, più 8 cacciatorpediniere tra cui l’Alfieri.
I primi 3 incrociatori della I Divisione, mentre rientravano da una incursione a sud di Creta, furono attaccati dalle navi da battaglia Valiant, Barham e Warspite. Il Pola fu subito immobilizzato dallo scoppio di un siluro, mentre il Fiume e Zara colpiti da numerose salve di artiglieria, incominciavano ad affondare. L’Ammiraglio Iachino mandò in soccorso del Pola altre navi tra cui il cacciatorpediniere Alfieri al comando del Capitano di Vascello  Salvatore Toscano (1).
Viene ordinato il “posto di combattimento”; tutti corrono ai pezzi indossando il  giubbotto di salvataggio e l’elmetto. Anche Pietro si reca sulla torretta di S.D.T. con i suoi compagni e con i graduati addetti al tiro. Chissà cosa pensava mentre si recava all’appuntamento con la morte?
La nave venne colpita al centro ed a poppa. L’equipaggio tentò l’impossibile di riattivare le macchine danneggiate e di governare l’unità dall’agghiaccio timone di poppa, ma un ulteriore colpo, sparato da distanza ravvicinata, tra il fumaiolo e la motobarca, inonda la coperta di schegge facendo strage di parte dell’equipaggio. La nave riescì, però, a lanciare due siluri dai suoi impianti di coperta ma, ormai, stava per affondare.
Il comandante Toscano (3) ordinò “l’abbandono nave”. Subito i suoi ufficiali organizzarono la messa in acqua delle zattere di salvataggio rimaste incolume. I sottotenenti Oberto Manfredi e Francesco Mancini si recarono a poppa per provvedere all’affondamento delle cassette metalliche contenti l’archivio segreto della nave. Il comandante riamane a bordo e, accendendosi   una sigaretta, attese che la sua nave sprofondasse nelle acque dell’Egeo, nonostante i suoi uomini gli implorassero di salvarsi. Ma le antiche leggi della marineria dovevano essere rispettate: il comandante deve morire con la sua unità! Erano le ore 23.30. la tragedia si era consumata. Restavano in mare pochi superstiti aggrappati a qualsiasi cosa galleggiasse. In soli 3 minuti, sotto la luce abbagliante dei riflettori delle navi inglesi, affondarono gli incrociatori Zara, Fiume e Pola ed i cacciatorpediniere Alfieri e Carducci. I relitti delle navi ancora galleggianti, furono finiti dai siluri dei caccia inglesi.
Diversi gli episodi di altruismo, spesso riscontrati tra i marinai. Il Tenente del Genio Navale Salvatore Ferraro di Gaeta, ad esempio, mentre l’Alfieri era scosso dalle esplosioni”… coadiuvava il Comandante nelle misure intese  mantenere l’efficienza della nave, mentre a bordo alcuni locali venivano invasi dal vapore e gli incendi si sviluppavano rapidi, continuava la sua opera fino a che il Comandante gli ordinava di abbandonare la nave. Il Tenente di Vascello Pietro Zancardi di Olcenego (Vercelli), ufficiale in seconda dell’unità, all’atto”,,, dell’abbandono nave, prestava la sua opera per il salvataggio dell’equipaggio, e sulla zattera, per quattro giorno e quattro notti, dava ogni assistenza ai compagni che incoraggiava durante la lunga attesa del soccorso...” Il Tenente medico Andrea Arone nonostante l’ordine di abbandonare la nave, continuò a prodigarsi per i feriti, scomparendo tra i flutti. Il Capo R.T. Giovanni Costamagna, restò al suo posto nella stazione radio mentre intorno infuriavano i combattimenti. Il Sottocapo silurista Arturo Martinotto”…caduta la maggior parte dei serventi del lanciasiluri, mentre divampava l’incendio nelle sue vicinanze e il complesso era investito dal vapore, eseguiva con serena calma, sotto l’intenso fuoco avversario, il lancio dei siluri”.
Il Cannoniere Arturo Penitenti…”dopo aver raggiunto un’imbarcazione di salvataggio, cedeva spontaneamente il posto ai feriti e ai più deboli…scompariva quindi in mare….Il Nocchiere di 2^Classe Augusto Simonelli “… pur avendo riportato una ferita durante il combattimento, prestava con serenità e coraggio la sua opera per la messa in mare delle imbarcazioni. Mentre era intento alle operazioni di salvataggio, dolorante per la ferita e stremato di forze, scompariva in mare…”. Anche  il Tenente Commissario Adriano Vecchiotti si prodigò per la salvezza dei marinai. Questi alcuni degli episodi raccolti ed i relativi personaggi insigniti con Medaglie d’Argento e di Bronzo al Valor Militare. Ma quanti altri eroismi non sono stati raccolti e raccontati. Chissà Pietro come e quando è scomparso in mare. Non compare tra i morti in combattimento e, quasi sicuramente, sarà stato gettato in mare, forse ferito, dalle esplosioni; forse si sarà aggrappato ad un relitto e, successivamente, perdute le forze, sarà stato inghiottito dal mare. Solo Iddio lo sa. Comunque riposa, eroe tra gli eroi senza medaglie assieme alle migliaia di marinai nelle profondità del Mare Egeo. Onore a loro!
Dopo la battaglia, che durò pochi minuti, le stesse navi inglesi cominciarono a raccogliere i naufraghi ma dovettero desistere per la comparsa di aerei tedeschi; comunque trasmisero la posizione a Supermarina che inviò la nave ospedale Gradisca che giunse dopo diversi giorni di navigazione, raccogliendo solo pochi superstiti.

La battaglia di Capo Matapan dimostrò tutte le deficienza di una Marina, quella italiana, non in grado di affrontare la potenza inglese, principalmente per la mancanza di appoggio aereo e del radar ( cosa che gli inglesi possedevano), di una tattica navale che non prevedeva scontri notturni e conseguente mancanza di esercitazione e di proiettili illuminanti, di una eccessiva ingerenza di Supermarina che, da Roma, dirigeva le operazioni, lasciando poca autonomia ai comandanti delle navi.
Il triste episodio del 28 marzo 1941 in cui morirono più di 2000 marinai e furono affondate cinque delle più moderne navi da guerra, ebbe un commovente strascico. Nel 1952 nei pressi di Cagliari, fu trovata una bottiglia con dentro questo messaggio:” Regia Nave Fiume – Vi prego, Signore, di informare la mia cara madre che io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, Salerno. Grazie Signore – Italia!” La madre venne informata e suo figlio ricevette la Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla memoria.

Note ed allegati

(1) ORDINE DI BATTAGLIA REGIA MARINA

Ammiraglio Angelo Iachino imbarcato sulla corazzata Vittorio Veneto.
XIII Squadriglia cacciatorpediniere: Granatiere, Fuciliere,Bersagliere, Alpino
I Divisione Incrociatori (Ammiraglio Carlo Cattaneo): Zara, Pola, Fiume
IX Squadriglia cacciatorpediniere: Alfieri, Carducci, Oriani, Gioberti
III Divisione Incrociatori ( Ammiraglio Sansonetti): Trieste, Trento, Bolzano
XII Squadriglia cacciatorpediniere: Corazziere, Carabiniere, Ascari
VIII Divisione Incrociatori ( Ammiraglio Legnani): Duca degli Abruzzi, Garibaldi
XVI Squadriglia cacciatorpediniere: Da Recco, Pessagno

(2) ORDINE DI BATTAGLIA ROYAL NAVY

Ammiraglio Cunningham imbarcato sulla corazzata Warspite
Corazzate: Barham, Valiant
Portaerei: Formidable
Cacciatorpediniere: Stuart, Greyhound, Griffin, Havock, Hostpur, Jervis, Ianus,Mohawak. Nubian, Ilex,Hasty, Hereward, Vampire, Juno, Jaguar, Defender

LA SORTE DEI MARINAI A CAPO MATAPAN

Scomparsi   2.149
Morti  181
Prigionieri  1.154
Salvati  160
(in licenza)  114
(già in ospedale)  56


(3)
Il Capitano di Vascello Salvatore Toscano nacque a Imola il 5 luglio 1897. Conseguita la nomina a Guardiamarina nel 1915, partecipò al primo conflitto mondiale imbarcato su varie unità di superficie. Promosso Tenente di Vascello nel 1918 e Capitano di Corvetta nel 1926, ebbe il comando del cacciatorpediniere Borea per circa due anni e nel 1932, promosso Capitano di Fregata, passò all’Accademia Navale di Livorno nell’incarico di Comandante in 3a, rimanendo in quell’incarico fino al 1935, quando venne destinato presso il Regio Istituto Idrografico Militare di Genova.

Promosso Capitano di Vascello nel 1937, ebbe successivamente il comando dell’incrociatore Cadorna, della corazzata Caio Duilio e dell’incrociatore Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi. Nel novembre 1938 ebbe l’incarico di Presidente di Mariperman La Spezia e dal 12 aprile 1940 al 10 marzo 1941 assunse l’incarico di Capo di Stato Maggiore del Comando Militare Marittimo di Messina. Assunto il comando di una Squadriglia cacciatorpediniere, con insegna sul cacciatorpediniere Vittorio Alfieri, partecipò allo scontro notturno di Capo Matapan contro cacciatorpediniere inglesi ed ebbe l’unità immobilizzata, con incendi a bordo, dal tiro nemico. Con la nave dilaniata dalle esplosioni ed in preda alle fiamme, rifiutava ogni invito a porsi in salvo ed affondava con l’unità al suo comando.

Motivazione della concessione della Medaglia d’Oro al Valor Militare:” Comandante di una squadriglia di cacciatorpediniere, consacrava tutte le sue energie fisiche e spirituali al servizio della nobile causa del dovere e dell’ardimento. In un aspro combattimento notturno contro soverchianti forze, sebbene la sua unità fosse stata inizialmente colpita in modo irreparabile dall’offesa nemica, ordinava e dirigeva con le poche armi rimaste efficienti un’audace e violenta reazione contro le navi attaccanti. Con indomito coraggio deciso a far pagare cara al nemico la perdita dell’unità, continuava nell’impari lotta fino all’esaurimento dei mezzi offensivi.
Nell’impossibilità di ulteriore resistenza, mentre la nave dilaniata dalle esplosioni e in preda alle fiamme cominciava ad affondare, ordinato agli ufficiali ed all’equipaggio di porsi in salvo, rifiutava stoicamente l’invito dei suoi uomini che lo supplicavano di salvarsi e, rimasto in piedi sulla plancia, in una suprema sfida al nemico, condivideva fieramente il destino della sua nave che si inabissava”.

 

 

 

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