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SPQ5

di Pietro Serarcangeli

ovvero quando ti lascia un Amico…tragicamente.

C’è stato un periodo della mia vita in cui sono stato imbarcato sulla fregata antisommergibile Castore. Ero poco più di un ragazzino, avevo 17anni ed ero al mio primo imbarco. All’epoca veniva sperimentato ed era montato sull’albero della nave, un nuovo tipo di radar che avrebbe dovuto scoprire non solo gli aerei a lunga distanza ma addirittura i sommergibili. Ricordo che noi lo chiamavamo impropriamente “il sarchiapone“.
Il soprannome potrebbe far ridere ma, vi assicuro, all’epoca non c’era nulla di comico: infatti, durante il funzionamento del radar, l’equipaggio veniva avvisato di non circolare assolutamente in coperta perché le sue “emissioni” erano molto dannose per la salute.
Ci era stato detto che coloro che si fossero trovati nel fascio delle onde elettromagnetiche emesse dal radar, potevano diventare sterili.
Non ci era stato detto che potevano provocare dei tumori come la leucemia.
Questo lo scoprirono, in seguito e a loro spese e sulla loro pelle, quel gruppo di specialisti radaristi che lavoravano attorno al radar SPQ5 sigla che lo identificava.
Oggi molti appartenenti al gruppo sono deceduti per malattie tumorali correlate a quel tipo di attività: c’è, purtroppo, chi non ha retto alla malattia e, disperato nel cervello, nel cuore e nell’anima, ha preferito farla finita anzitempo gettandosi da un viadotto…
Non erano sufficienti le “Vittime dell’amianto”. No!
Ci volevano anche le onde elettromagnetiche nefaste! Eravamo proprio carne da macello!!! Eravamo proprio alla stregua di “materiale di consumo“…

ERAVAMO PROPRIO MENO DI NIENTE.
Addio Amico mio, come hai vissuto gli ultimi istanti della tua esistenza?
Hai guardato verso il cielo azzurro?
Hai pensato ai tuoi figli, ai tuoi cari?
Hai pianto nell’attimo così tragico della tua decisione mortale?
Hai pensato a chi, responsabile, ti ha spinto verso la parole FINE della Tua vita?
Quanta sofferenza nel tuo cuore, quanto dolore nella solitudine di quell’attimo in cui, in un attimo, tutto finisce!!!
Tu sei andato. Tu non sei più. Tu entri a far parte dei Ricordi…
Ha un perché tutto questo?
Hai scelto di non vivere più…
Nel mio piccolo e ricordandoti ti auguro, con tutto il mio cuore, che tu possa aver trovato quella pace che, su questa terra spietata, ti è stata negata.
Addio amico mio, ovunque ti trovi, ovunque Tu sia…

21 commenti

  • Pietro Serarcangeli

    Ti capisco Amico Mio………….e mi spiace ma………questa è la vita. Un abbraccio caro Ezio.

  • Antonio D'alessandro

    Ciao Ezio , si tira avanti e si affronta la vita , e nonostante tutto possiamo stare ancora con i nostri cari e questo ci da’ forza per combattere .
    Un saluto e un abbraccio a tutti in famiglia.ciao

  • Stefano Lodi

    Ciao Ezio, mi trovo nello stato di essere passato in un ruolo che sono sicuro mi darà responsabilità e soddisfazioni come già ho potuto sperimentare in minima parte prima. Nasco in marina nel 2002 in Cp a La Spezia. Più tardi divenuto ECG da VFB sperimento destinazioni a non finire per conoscere al meglio la nostra marina: cacciamine, navi idrografiche, corso sommozzatori al comsubin, maribase, maribase servizio sanitario. Infine ho maturato la decisione di preferire la categoria nocchiere (anche se seconda scelta, la prima era ECG più per sicurezza su cosa certamente mi avrebbe atteso). Insomma per quanto la si possa criticare alla marina devo molto in fatto di amicizie, esperienze lavorative, divertimento, cultura, emozioni. Il periodo alle scuole si avvia alla conclusione, ma lungi da me a bollarlo come un periodo morto….beh un po’ marinaio di acqua dolce mi ci sono sentito. Ho raccolto quanto più ho potuto del mio viaggio in marina che si prospetta di essere avventuroso e pieno di scoperte…come al solito. In merito a ciò passo a condividerti alcuni contenuti multimediali che grazie a questi mezzi di oggi sono la parte più divertente ed emozionante del web. Saluti e abbracci a te e tutta la tua famiglia

  • Santino Correnti

    Amico Ezio è per me grande privilegio parlarti ..desidero raccontarti tanti e tanti episodi in parte forse inediti, che mio padre mi ha sempre raccontato.
    A risentirci.

    Santino

  • Santino Correnti

    Ti ringrazio del tuo consiglio, come tu noterai abbiamo subito provveduto, avrai modo di costatare questa mia grande passione che mi da delle soddisfazioni ineguagliabili. ciò non toglie, il mio amore per il mare ,sarà per via che son figlio di marinaio ,sarà perché abito in un posto dove in dieci minuti di auto sei a duemila metri e in altrettanti minuti sei al mare.

  • Carrer Valerio

    Quel stesso sarchiapone è stato montato su Nave Alpino, la cui Nave ricordo con tanto affetto, solo che tutti quei problemi erano stati risolti, in quel tempo ero Nostromo, 78/80 e grazie a Dio sono ancora qua.
    Posso solo dirti il dispiacere di quando avvengono queste situazioni con affetto amante della Marina, sempre e comunque.

  • Luca Cavatorti

    ciao Pancrazio, sono molto contento di averti “ritrovato” anche se su queste pagine….ricordo ancora come fosse ieri l’esperienza “capitolina” e il tuo gran da fare. Ti vedo in gran forma considerato anche il fatto che tu abbia tutta l’aria del Parlamentare….a presto!

  • Domenico Basso Palmiero

    Grazie Ezio le tue parole sono un regalo magnifico che certo non mi aspettavo ,grazie ancora di vero cuore,un abbraccio

  • Raffaele Gennaccari

    Dopo anni, finalmente il 1° marzo mi è arrivato il documento che certifica periodi e incarico sulle varie navi ora dovrei farlo pervenire all’inail ma a distanza di anni non trovo più la pratica che cavolo devo fare?!

  • Giovanni Gavino

    Sapere queste cose ti riempie di tristezza e di dolore. Quante cose non sapiamo e non sapremo mai. Questi avvenimenti, tristi e poco comprensibili, ce li fanno conoscere. Quello che mi chiedo è: non si potevano trovare sistemi di sicurezza per evitare tutto questo? Non voglio pensare che ci potevano essere ma non sono stati messi a disposizione per questione di risparmio, questo non lo sopporterei.
    Un abbraccio alla famiglia, e che questo nostro fratello riposi in pace.
    Giovanni Gavino

  • Pietro Rossi

    Ezio è giusto dare voce a tutti, di questo ne sono più che convinto e lo approvo.
    Ho letto il link Pietro Serarcangeli riguardante il radar SPQ5.
    Che le onde elettromagnetiche siano nefaste, non si scopre l’acqua calda. Mi ricordo che non bisognava fare la schermografia al torace, se non fosse trascorso un certo periodo di tempo. Il risentimento di aver perso una persona cara o un amico giustifica un certo atteggiamento, ma da questo a dire che i marinai erano persone trattate come carne da macello…mi sembra esagerato. In marina, non hanno mai trascurato la sicurezza e l’accortezza di munirsi di idonee difese per l’organismo umano…….
    La risposta di Stefano Lodi è più obbiettiva………ma non tutti vanno a leggere i commenti che sono dall’altra parte.
    Ho voluto scriverti in privato, per non mettere altra carne al fuoco……….nel mio periodo d’imbarco, ricordo che quando erano in emissione i radar guidamissili era proibito andare a prora, di ciò se ne dava conoscenza con interfono a tutto l’equipaggio……….Ringraziando Dio sono ancora qua e spero di starci ancora per qualche tempo……..e pensare che ho sempre avuto a che fare con onde elettromagnetiche (centrali di tiro e radar tiro) e con la coibentazione dell’interno dei locali col materiale che oggi risulta nefasto.
    Sembra che uno che ci abbia rimesso le penne sia Montemurro, con me sull’Indomito negli anni 60. Il figlio è su fb, l’ho contattato chiedendogli se fosse il figlio del mio ex collega………mi ha risposto molto evasivo e senza chiedermi nulla……..
    Sono un marinaio, ripeto sono un marinaio, anche se mi hanno ritirato la cortolina di richiamo alle armi perchè sono oltre con l’età. Mio figlio, che tu conosci, mi dice che oggi non potrei stare in Marina per come la penso………Il discorso sarebbe troppo lungo……..ti ringrazio di averti rubato del tempo……….ma sono, anche se per legge no, capo Rossi EM………un caro e cordiale saluto Pietro

  • Franco D'Andreta

    Caro Pietro Rossi, eravamo carne da macello, sapevano ma non hanno fatto nulla….non ho voglia di discussioni, molti continuano a non capire, ma passo la mia vita nei corridoi delle U.S.L. (anche e spesso a pagamento), pensala come vuoi….ma se potessi tornare indietro…..

  • Armando Di Francesco

    Quando leggi queste notizie, rimani sempre un po sgomento,sono stato imbarcato sul vecchio Garibaldi come allievo radarisa 66VO941T dal luglio 1967 e mi ricordo che in quel tempo l’SPQ5 era sul Garibaldi, non ho mai sentito che fosse sul Castore, a parte questo sono molto dispiaciuto per la scomparsa del nostro collega, R.I.P. e condoglianze alla famiglia.

  • Carlo Alberto ROSSI

    Cari Amici
    ho lavorato dieci anni sull’SPQ5, e due anni sul Garibaldi, e sul Garibaldi NON era Imbarcato Nessun SPQ5, del mio gruppo normalmente quattro persone DUE ci hanno lasciato e cioè il 50%. Onoriamo la memoria dell’amico Michele che R.I.P

  • Nicola Giannatiempo

    Caro Ezio,
    anche io come te e molti altri, abbiamo vissuto esperienze terribili nella nostra amata Marina, era la Marina degli anni sessanta/settanta, eravamo poco più che diciottenni, eppure abbiamo dato inconsci la nostra gioventù, abbiamo solcato mari nelle tempeste e guerre fredde, ubbidendo e rispettando i gradi e i comandi, anche se molte volte discutibili, abbiamo visto perire compagni in incidenti di bordo, vivendo anche situazioni drammatiche, come quella da me vissutra sul vecchio San Giorgio in pieno Oceano con una falla a bordo rientrando dal Sud America.
    Mi dispiace molto per l’amico Michele che oggi ha raggiunto i molti nostri fratelli che non sono più con noi.
    Mi unisco al cordoglio di voi tutti e al dolore che vivono in questo momento i figli e i famigliari tutti.
    R.I.P. ovunque tu sia Michele

  • Francesco Carriglio

    Caro Pietro, siamo dello stesso corso, il favoloso 66, tu meccanico e io motorista, anche io nel 1968 dopo il tirocinio su Nave Proteo imbarcai sulla Fregata Castore era uscita dai grandi lavori dove avevano montato il radar sperimentale SPQ5. Ero addetto ai gruppi DD/AA e in navigazione facevo la guardia in macchina. Sono passati molti anni ma alcuni eventi si ricordano, come quello del funzionamento del radar e il vietato circolare in coperta. Ricordo anche le lunghe navigazioni nelle coste della Sardegna seguendo le navi russe, allora nemiche. Mi ricordo a la Spezia la bettolina con il generatore la mettevamo in funzione in mancanza della corrente da terra o quando i generatori di bordo erano in manutenzione. Non so se ricordi che con la nave dovevamo andare nei paesi nordici per provare il “sarchiapone” ma io sbarcai per un’altra destinazione e non so se la nave è andata in nord Europa. Un caro saluto.

    R.I.P Michele, che il Signore ti abbracci nel suo regno.

    Grazie Ezio.

  • Nico Verni'

    RADAR SPQ 5 “SARCHIAPONE E DERIVATI

    L’antenna del SPQ-5 (a.k.a. Sarchiapone) aveva un doppio sistema di riflessione, che la rendeva, appunto, adatta ad emissioni “a spillo”. Venne utilizzata anche dall’Ardito negli anni 1978-1982 (circa) come componente sperimentale del sistema di comunicazione satellitare Sirio. Poi il progetto fu abbandonato. Per usarla come arma Directed Energy bisognerebbe poter fare il tracking con elevata precisione. Non sarebbe da escludere, ma….bisognerebbe trovare chi progetta il sistema. Un tempo molto, molto lontano, la MMI aveva una notevole capacità al suo interno, oggi (da molto tempo) non più.
    Per gli appassionati di storia, il Sarchiapone, nella versione campale, venne impiegato come radar della difesa costiera.
    Uno venne installato vicino a La Spezia (loc. Castellana), uno a Taranto (San Vito), ed uno vicino a Venezia (Piave Vecchia). Quest’ultimo venne poi trasferito in Sicilia, a Capo Passero, in località Cozzo Spadaro, da dove (quando tutto andava bene) poteva addirittura controllare il traffico che si svolgeva lungo le coste libiche.
    IL RICORDO DI MASSIMO ANNATI

    Tra coloro che oggi hanno qualche capello grigio, molti ricordano ancora una storiella raccontata da Walter Chiari negli anni Sessanta, in cui un povero viaggiatore cercava disperatamente di indovinare la datrici di cui misterioso animale denominato «Sarchiapone» appartenente al vicino di scompartimento, tenuto dentro una strana cappelliera. Alla fine, sconfitto e infuriato, rinunciava, lasciando lo scompartimento libero, mentre si scopriva che il « Sarchiapone» non esisteva affatto.
    Il termine « Sarchiapone» è stato quindi assunto da tutta una generazione, come scherzoso sinonimo di mistero incomprensibile.
    Tuttavia, per chi ha speso la propria vita in Marina, questo termine ha anche una diversa connotazione, dato che indicava in gergo navale, un progetto molto segreto e molto promettente. Tutto incominciò da un’intuizione dell’allora capitano di fregata Calzeroni, all’epoca destinato al Centro Addestramento Aeronavale di Taranto. In presenza di una massa metallica immersa, come appunto quella di un sommergibile, il campo magnetico
    avrebbe dovuto subire una deflessione.
    Se si fosse stati in grado di valutarla, si sarebbe potuto migliorare significativa¬mente il raggio di scoperta delle unità anti-sommergibili. Il principio era già noto e sfruttato dai MAD (appunto Magnetic Anomaly Detector) degli aerei da pattugliamento marittimo. Questo sistema, tuttavia (ed è una grande differenza) sarebbe stato basato non sulla misurazione «passiva» del campo magnetico terrestre, ma sull’impiego di un trasmettitore radar, misurando le variazioni sul segnale ricevuto. In definitiva, com’è noto ai molti che navigano, la «spazzata» di un radar è spesso sufficiente a provocare lo sfarfallio nei tubi al neon in plancia, grazie alla differenza di potenziale che si genera in occasione del passaggio delle onde elettromagnetiche.
    Calzeroni si basava sul fatto che in condizioni di normale umidità, in prossimità della superficie marina si trovano un gran numero di ioni liberi, il cui orienta¬mento (spin) è legato alla presenza del campo magnetico terrestre. La massa ferromagnetica di un sommergibile avrebbe provocato negli ioni un differente orientamento. In presenza del passaggio del fronte dell’onda elettromagnetica emessa dal radar gli ioni si sarebbero orientati diversamente, per poi ritornare immediatamente dopo nella posizione precedente. Questa deviazione avrebbe assorbito energia, che sarebbe poi stata riemessa all’atto del riorientamento. Il ricevitore del radar avrebbe dovuto essere
    in grado di registrare la debolissima energia emessa in tale fase, che sarebbe stata differente nel caso che l’orientamento iniziale fosse stato quello dovuto al campo magnetico terrestre oppure alla presenza del sommergibile. L’idea non era del tutto nuova. Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale i giapponesi avevano tentato di sfruttare l’esistenza di ponti radio tra le isole dell’arcipelago allo scopo di scoprire il transito di navi e sommergibili attraverso i passaggi obbligati. La fluttuazione del segnale legato alla variazione del campo magnetico, a causa della temporanea presenza di una massa metallica, avrebbe dovuto fungere da allerta per la difesa costiera.
    La differenza sostanziale tra il concetto giapponese e quello italiano riguardava il fatto che il sistema ideato da Calzeroni prevedeva di misurare la debolissima energia emessa dagli ioni eccitati, invece che le fluttuazioni di un segnale radio.
    Trattandosi di misurare differenze molto limitate, e quindi di segnali estremamente deboli, questo sistema avrebbe dovuto avere una potenza in trasmissione molto elevata, e avere un fascio molto stretto, in modo da poter conseguire potenze molto alte nel settore d’interesse.
    L’analisi del segnali rappresentava sicuramente la sfida maggiore, che fu affrontata con grande inventiva dai progettisti, specie se si pensa alla realtà dell’elettronica disponibile trent’anni fa.
    L’idea trovò l’appoggio dello Stato Maggiore della Marina, anche grazie alla vera e propria «campagna promozionale» del vulcanico Calzeroni. L’industria italiana venne coinvolta e fu realizzato un radar congiuntamente dalla SMA e dalla Galileo. II sistema venne battezzato SPQ-5A e nel 1973 se ne imbarcò un esemplare sull’Alpino, sistemandolo sul cielo della plancia, subito dietro e più in alto dell’antenna del radar del tiro Orion-lOX della direzione tiro prodiera. Il radar si presentava con una grande antenna a disco di circa 3 metri di diametro, e un feeder molto pronunciato. Il progetto era considerato estremamente segreto e solo pochi ne conoscevano i dettagli, al punto che l’SPQ-5 divenne immediatamente noto nella Squadra Navale sotto il nomignolo di «Sarchiapone», per il mistero esasperato che lo circondava.
    Qualcosa tuttavia dovette trapelare se il Jane’s Fighting Ships qualche anno do¬po, nel descrivere le differenze tra Alpino e Carabiniere, indicava la presenza della grossa antenna come «MAD aerial», pur senza identificarlo con una sigla.
    Per l’Alpino incominciò allora una vita estremamente intensa, che lo vide impiegato per mesi nell’ambito di campagne di valutazione dall’Artico fino ai Caraibi. Per contro il Carabiniere, pur essendo anch’esso fortemente utilizzato (nave di nuova concezione e nuova costruzione in una Marina che andava rapidamente invecchiando) non andò mai incontro ad un simile impegno. L’SPQ-5A operava in banda X, con una rispettabile potenza di quasi 2 MW. Il fattore chiave del suo funzionamento, tuttavia, era basato sulla particolarità del metodo di doppia focalizzazione del fascio. Nei radar tradizionali le onde elettromagnetiche emesse dal feeder,posto al centro della parabola, vengono focalizzate in un fascio di ampiezza desiderata grazie alla specifica geometria dell’antenna (paraboloide, cosecante, inversa, ecc.) Nell’SPQ-5°, invece il fascio veniva inviato prima su di un riflettore conico, posto vicino al feeder e poi inviato sul disco. Il risultato era quello di ottenere un fascio estremamente stretto, pressoché aghiforme, con un’apertura di soli 1° 30′, eliminando virtualmente ogni lobo secondario, e ottenendo così un’elevatissima densità di potenza.
    Durante le estese campagne di valutazione a cui venne sottoposto il sistema emersero però, del tutto inaspettate, altre importanti caratteristiche.
    L’SPQ-5A si dimostrò presto in grado di scoprire bersagli di superficie a distanze assolutamente impensabili. Si trattava del cosiddetto «condotto radar» a cui si fa talvolta riferimento nella letteratura specializzata. In presenza di determinate condizioni (specialmente umidità elevata, dell’ordine dell’ 80%-95%) si viene a formare una sorta di condotto in prossimità della superficie marina, dove le onde elettromagnetiche viaggiano seguendo la curvatura terrestre, arrivando così ben oltre l’orizzonte. Si realizza così qualcosa di relativamente simile al normale fenomeno di propagazione delle onde radio ad alta frequenza che «rimbalzano» tra superficie e ionosfera, coprendo lunghissime distanze. Un fenomeno simile accade anche per le onde ottiche, noto da secoli sotto il nome di «Fata Morgana», e consente, in particolari situazioni, di vedere l’immagine di oggetti che si trovano molto al di là dell’orizzonte.
    Per tornare al caso della propagazione radar, questo fenomeno è utilizzato quotidianamente dai sommergibili, che godono comunque di un apprezzabile orizzonte radar (ben oltre il semplice orizzonte geometrico) anche se le loro antenne operano bassissime, quasi a contatto con la superficie. In definitiva la normale propagazione sferica (dipendente dalla quarta potenza del raggio) veniva sostituita da una diversa propagazione, con un tetto verticale che consentiva di canalizzare l’emissione, riducendo enormemente l’attenuazione. Si realizzava una sorta di «guida d’onda aperta» a causa delle differente permeabilità magnetica dell’aria umida vicino alla superficie marina, e di quella più secca esistente in quota. L’altezza di tale condotto è fortemente variabile in funzione delle condizioni meteorologiche, e oscilla abitualmente tra 5 e 30 metri. Spesso ci si riferisce a questo fenomeno come «propagazione anomala». In realtà si tratta di una propagazione del tutto normale (ovvero rispondente alle leggi fisiche), ma non adeguatamente sfruttata, in assenza di adeguati strumenti.
    Fu così che l’Alpino, nel corso di alcune esercitazioni divenute leggendarie, fu in grado di scoprire gli aerei della Kennedy nel momento stesso in cui decolla¬vano dalla portaerei, rimanendo a oltre 350 miglia di distanza. Dato che la massima taratura dello schermo PPI era limitata a 200 miglia, si dovette ricorrere all’indicatore «A/R» che arrivava a 400 miglia. In un’altra occasione L’Alpino mentre si trovava presso Ustica, fu in grado di seguire il gruppo navale «avversario» in uscita da Tolone !
    Il «Sarchiapone» non era inserito nel normale sistema di difesa aerea (che non avrebbe comunque potuto gestire vettori distanti oltre 300 miglia), ma l’operatore passava i dati dei bersagli con un semplice collegamento in fonia. Un altro vantaggio operativo era legato come si è detto, all’assoluta mancanza di lobi secondari, il che rendeva estremamente difficile, se non quasi impossibile, l’intercettazione del segnale da parte dei sistemi di guerra elettronica imbarcati sulle altre navi. Difatti se l’impulso, ancora estrema¬mente stretto nonostante il lungo tragitto, investiva una parte della nave dove non si trovavano gli intercettatori della guerra elettronica, la nave “bersaglio” non aveva modo di sapere di essere stata inquadrata dal «Sarchiapone». La cosa era ulteriormente rafforzata dal fatto che il condotto radar si estendeva a pochi metri di quota, mentre spesso gli intercettatori della guerra elettronica erano posizionati sull’albero, al di sopra del condotto. La campagna nel Mare Artico, svolta¬si nel 1975 e quella nei Caraibi del 1976 dimostrarono la capacità del « Sarchiapone» di operare anche con un campo di temperature e di umidità estremamente vario, nel duplice ruolo di scoperta anti-sommergibile (quello originario), e di scoperta di superficie oltre l’orizzonte. Vennero individuati dei sommergibili immersi a 50-60 metri di profondità. Per questo scopo gli operatori dovevano esaminare i dati raccolti con l’aiuto di un registratore Ampex, valutando segnali estremamente deboli (10-19 W. ovvero un decimo di un miliardesimo di miliardesimi di Watt), a fronte di potenze di emissione di circa 2 MW. La potenza in gioco era comunque tale da «imbiancare» gli schermi delle unità vicine, oltre che, naturalmente quelli dell’Alpino.
    La US Navy, in particolare, si dimostrò estremamente interessata al progetto, tanto che per l’attività l’Italia ricevette in cambio un congruo aiuto da parte del programma di assistenza militare MDAP. Questa almeno era la voce (impossibile da verificare appieno) che circolava al¬l’epoca, grazie all’arrivo di due sommergibili classe « GuppyIII» (Romei e Piomarta), e un buon numero di missili Tartar e di siluri leggeri, che portarono un po’ di ossigeno alla nostra esausta Marina in attesa dell’entrata in linea delle nuove costruzioni previste dalla «Legge Navale» (1975-1985). Il sistema, nonostante le prestazioni davvero stupefacenti, non era ovviamente scevro di problemi. Il trasmettitore e il ricevitore si trovavano direttamente sull’antenna, per non dover realizzare guide d’onda lunghe, tali da trasportare una simile potenza, cosa che rendeva l’antenna stessa oltremodo pesante. L’antenna era stata realizzata con asservimenti simili a quelli dei radar del tiro, anzi le Officine Galileo avevano impiegato i medesimi motori idraulici impiegati per le direzioni tiro dei cannoni da 127 mm utilizzate sul cacciatorpediniere San Giorgio, dato che però pesava alcune tonnellate, presentava sensibili problemi di vibrazioni e rumorosità.
    La tecnica d’impiego del «Sarchiapone» prevedeva di effettuare una scansione di ricerca «TV», con una spazzata orizzontale di 120°, un «gradino» verticale di mezzo grado, e una spazzata di ritorno di 120°. Questi movimenti provocavano preoccupanti oscillazioni sul tetto della Centrale Operativa, che non era stato certo progettato e costruito per sopportate tali sollecitazioni. Il moto ondoso rendeva la cosa ancora più critica, al punto che ogni due o tre mesi i tecnici della delle Officine Galileo dovevano effettuare interventi di manutenzione, arrivando a sostituire gli ingranaggi e i cuscinetti che apparivano fortemente danneggiati, ogni sette-otto mesi. L’elevatissima potenza e la frequenza del «Sarchiapone», inoltre, facevano sì che qualsiasi essere vivente (marinaio o gabbiano poco importa) fosse stato investito dallo stretto fascio del radar alla distanza di uno-due km, avrebbe subito conseguenze fatali, cosa che richiedeva quindi un’estrema attenzione nell’impiego del radar.
    Un altro problema sorse dall’impiego del liquido di refrigerazione della corta guida d’onda, dato che veniva utilizzato l’esafluoruro di zolfo. Questo prodotto era estremamente tossico, ma all’epoca vi era poca sensibilità sugli aspetti antiinfortunistici, e qualcuno dei pochi e selezionati giovani sottufficiali a qui era stata affidata la manutenzione e la condotta del Sarchiapone, ebbe la sgradita sorpresa di subirne gli effetti, con l’indebolimento della dentatura. Questi uomini vivevano una situazione “romanzesca», ed erano tenuti ad osservare un assoluto (quanto comprensibile) riserbo sul programma. Quando l’Alpino si trovava in porti esteri, questi operatori potevano uscire in franchigia soltanto «sotto scorta» per evitare compromissioni. Il principale problema che però dovette affrontare il «Sarchiapone» riguardò la necessità di «saper interpretare» i dati che forniva. Tra gli ecogoniometristi è normale che il contatto acustico venga investigato sfruttando l’esperienza dell’operatore e svariate tecniche di analisi del segnale, in modo da poterlo adeguatamente classificare. In campo radar questo non è certamente il metodo più seguito, ma i segnali del «Sarchiapone», con le incredibili portate offerte e, di conseguenza, la presenza di falsi contatti o contatti «non interessanti», necessitavano di dover discriminare attraverso correlazioni basate sulla conoscenza della situazione tattica, sull’esperienza dell’operatore e sull’analisi del segnale.
    Per l’impiego anti-sommergibile, requisito originario del «Sarchiapone», l’impercettibile deflessione del fascio radar provocata dalla massa ferrosa immersa provocava spesso echi poco nitidi, a malapena distinguibili, la cui esistenza veniva analizzata ed evidenziata dalla lettura differita dei nastri Ampex, che dava un’immagine tridimensionale della zona esplorata. Si trattava di un’attività estremamente complessa, a maggior ragione quando si consideri la tecnologia disponi¬bile all’epoca. L’SPQ-5 dell’Alpino venne impiegato anche nel vano tentativo di scoprire la posizione del relitto del DC-9 inabissatosi presso Ustica (anno1980).
    A partire dal 1980, e fino agli inizi degli, anni Novanta, il «Sarchiapone» venne imbarcato anche sulla nave da esperienze Quarto, nella variante SPQ-SB, che presentava il ricevitore montato in posizione leggermente sollevata. L’antenna dell’SPQ-SB presentava anche una fascia per evitare i cosiddetti « spill-over», ovvero i lobi secondari, che avrebbero potuto influenzare negativa¬mente il sensibile ricevitore. Il Quarto disponeva anche di Un calcolatore HP 9845 dedicato al calcolo di previsione delle portate con un software sviluppato dal Naval Ocean Systems Center (NOSC) San Diego per la US Navy e denominato IREPS (Integrated Refractive Effects Prediction System). II sistema comprendeva anche una centralina meteo con sensori remoti. Il tutto era stato integrato e adattato dalla SMA, per poter fornire l’indispensabile sostegno predittivo al Sarchiapone.
    Anche il Quarto svolse un’intensa campagna di prove, mentre l’Alpino ritornava appieno della Squadra Navale (l’SPQ-5° venne definitivamente sbarcato solo nel 1987). In un secondo tempo sul Quarto venne installata un’altra versione, SPQ-4 affettuosamente chiamata “Bastardone”, dato che era stata realizzata accoppiando l’antenna del radar del tiro Orion IOX, la guida d’onda e i motori di brandeggio del SPS-702, il ricevitore dell’SPQ-5, e la consolle del SPQ-2. Il «Bastardone» o BST-1 venne sistemato nell’area prodiera, approfittando delle dimensioni e dei pesi molto più contenuti.
    La campagna di prove diede risultati interessanti, anche se ovviamente inferiori a quelli del «Sarchiapone» originario, a causa della minor potenza di picco (180 kW) e della minor sensibilità in ricezione (95 dB, contro 112 dB del SPQ-5A, o 120 dB del SPQ-5B).
    La principale applicazione a cui si pensò, fu quella di sfruttare la portata oltre l’orizzonte per consentire di ingaggiare navi avversarie con i missili «Teseo», senza necessariamente dover sfruttare la presenza di un elicottero. Questo impiego avrebbe creato ulteriori vantaggi operativi, grazie alla particolare discrezione del radar, che non avrebbe messo in allarme gli avversari, consentendo così al missile «Teseo» di arrivare sul bersaglio pratica¬mente senza alcun preavviso. Sulla prora del Quarto venne anche sperimentata un’altra variante del «Bastardone», denominata BST-2, con un’antenna a scansione elettronica, simile (in scala ridotta) a quella del radar tridimensionale SPS-39, ma si rivelò un parziale insuccesso. Sul Quarto era stato installato anche un normale radar SPS-702 (o SPQ-2) il cui segnale poteva essere smistato verso l’antenna del «Bastardone» o verso la normale antenna, in modo da confrontare i risultati nelle diverse condizioni d’impiego. È interessante valutare la tabella con le portate massime (espresse in miglia marine) ottenute dai diversi radar. (Vds. Tabella in alto). Durante un’esperienza l’SPQ-5B del Quarto fu invece in grado di seguire l’Audace dall’uscita delle ostruzioni alla Spezia fino a Trapani (!).
    Da notare che gli addetti alla guerra elettronica del caccia, pur informati dell’attività, e a conoscenza della frequenza del «Sarchiapone», persero il contatto all’altezza dell’Isola d’Elba. Difatti l’effetto di condotto superficiale (talvolta definito anche «effetto pellicolare» per la ridotta dimensione del condotto) faceva sì che l’emissione del «Sarchiapone» battesse lo scafo, mentre le antenne della guerra elettronica si trovavano sul cielo della plancia. La disponibilità di operatori altamente motivati, ben addestrati, e un crescente data-base, consentirono anche di arrivare a determinare l’esatto nome dell’unità scoperta dal «Sarchiapone». Il radar infatti emetteva delle onde di forma perfetta¬mente quadra, con un fronte d’onda verti¬cale, che incontravano le migliaia di micro-dipoli di cui era fisicamente composta la «nave-bersaglio». Ogni singola nave differisce da un’altra, sia pur gemella, per tutte quelle impercettibili differenze di allestimento, quali potrebbero essere il posizionamento di singole draglie, ecc. La riemissione o risonanza dell’energia elettro-nica si componeva così in uno spettro dove si potevano apprezzare specifici picchi,corrispondenti a date frequenze, tipiche di ciascuna unità. Si tratta di un fenomeno noto nel campo dell’acustica, dove un diapason investito da un «suono bianco» risponde entrando in risonanza ed emettendo la propria tonalità.
    Verso il 1978 il «Sarchiapone» venne anche destinato ad alcune stazioni radar costiere, nell’ambito di un ambizioso progetto che avrebbe dovuto permettere di tenere sotto controllo gran parte del Mediterraneo Centrale.
    La prima e forse più importante installazione fu realizzata vicino alla Spezia, in località Castellana. Il personale destinato a questo programma utilizzava un enigmatico recapito postale: «Maristat UPS Castellana», dove UPS stava per Ufficio Programmi Speciali.
    A Calzeroni, nel frattempo promosso contrammiraglio, venne affiancato il comandante Paolo Compiani, che diede nuovo impulso al programma.
    Un altro impianto, installato a Piave Vecchia (Venezia) offriva la copertura dell’Adriatico fino a Foggia, consentendo di distinguere addirittura Ai aerei d’addestramento che decollavano dall’aeroporto militare della città pugliese. Questo venne poi trasferito in Sicilia, a Capo Passero, in località Cozzo Spadaro, da dove poteva agevolmente controllare il traffico che si svolgeva lungo le coste libiche.
    Un terzo impianto, infine, venne posizionato a Taranto San Vito, presso il Centro di Addestramento Aeronavale.
    In pratica la copertura assicurata dalle stazioni costiere, che trasmettevano i dati raccolti ad un centro di coordinamento presso Roma (Stazione 08), era tale da permettere il controllo dell’intera area d’ interesse nazionale.
    Nell’ambito delle valutazioni preliminari la Marina fu confortata anche dai risultati di un curioso esperimento. Nel complesso dell’Accademia Navale venne installata un’antenna direzionale alimentata da un trasmettitore a bassissima potenza (2 mW, ricavato da un normale antifurto per auto) e posizionata a sei metri di quota sul livello del mare. L’antenna parabolica ricevente venne posizionata a Genova, a circa 100 miglia di distanza. II sistema funzionò egregiamente per svariate settimane, nonostante le bassissime potenze in gioco e, soprattutto, i circuiti realizzati in modo artigianale. I risultati vennero presentati nell’ambito di un congresso dell’AGARD. Tuttavia furono proprio le installazioni costiere, e in particolare quella della Castellana, a decretare la fine del «Sarchiapone».
    Lo sfruttamento del condotto radar era infatti ottimale quando l’antenna si trovava molto bassa sul mare, appunto all’interno del condotto. Soluzioni diverse rendevano molto più aleatorio il conseguimento delle condizioni necessarie a beneficiare appieno della particolare tipologia di propagazione. La stazione della Castellana invece si trova sulla sommità di una costa alta, a circa 500 metri di quota, cosa che consente un’ampia visibilità, ideale sia per i turisti incantati dal bellissimo panorama ligure, che per i radar destinati a sorvegliare le rotte d’accesso al Golfo della Spezia, ma assolutamente inadatta a sfruttare con continuità l’effetto pellicolare.
    Si trattava, per usare un paragone di facile comprensione, dello stesso effetto per cui una nave di superficie non riesce a battere con il suo sonar a scafo un battello che navighi sotto lo «strato», senza ricorrere al posizionamento del VDS ad una quota idonea.
    In alcune (rare) occasioni la Castellana ottenne eccellenti risultati, che però si alternarono a numerosi momenti di grande insoddisfazione. Invece che insistere con lo studio per lo sfruttamento del «condotto radar» si preferì orientare la valutazione alla scoperta antisommergibile, che però, specie per le condizioni dell’istallazione, diede risultati poco coerenti. Per tale impiego era necessaria un’enorme potenza, che poteva essere ottenuta soltanto grazie alla propagazione nel condotto, venendo invece eccessivamente «diluita» con la propagazione sferica.
    Questa discontinuità, unitamente al tradizionale «spirito conservatore» tipico di tutte le Marine, portò a ridurre gli investimenti e, in un secondo tempo, verso il 1986-’87 ad abbandonare del tutto la sperimentazione.Torniamo alla metà degli anni Settanta. I risultati ottenuti dall’Alpino furono tali da convincere lo Stato Maggiore della Marina a prevederne l’imbarco anche su altre unità. Fu così che i cacciatorpediniere Audace e Ardito vennero modificati durante i lavori di fine-garanzia, e venne creata una struttura sul cielo della plancia destinata a sostenere l’antenna dell’SPQ-5. Con la «fame di spazio» caratteristica delle unità navali, tuttavia il cosiddetto «Locale apparati SPQ-5» (come recitava la targhetta sulla porta) venne comunque destinato ad altri scopi, in attesa di un’installazione che non sarebbe mai avvenuta. In un secondo tempo la postazione venne impiegata per accogliere un ingannatore della guerra elettronica, mentre con l’effettuazione del cosiddetto «ammodernamento di mezza vita», il suo posto venne preso dal radar di scoperta aeronavale SPS-774. L’Ardito, tuttavia, imbarcò per qualche tempo 1’antenna del «Sarchiapone», anche se con uno scopo completamente diverso da quello per cui era stata originariamente progettata. Grazie agli elevati guadagni che consentiva, era stato deciso, infatti, di impiegarla nelI’ambito del progetto «Sirio», come apparato ricevente in banda UHF per le telecomunicazioni satellitari. Fu così che 1’antenna del «Sarchiapone» fece il giro del mondo negli anni 1979-’80.
    Una nuova versione del «Sarchiapone» venne chiamata Co.Ra. (Condotto Radar, o anche scherzosamente Compiani Radar, visto I’impulso dato da questi al pro¬gramma) e ne fu prevista l’installazione sui nuovi DDG (inizialmente conosciuti come «Super-Audace», poi come classe «Animoso» e infine con l’attuale nome di «De La Penne»). I primi disegni rappresentavano un radar a scomparsa alloggiato a prora estrema, in modo da poter sfruttare appieno l’effetto pellicolare, le cui sembianze ricordavano abbastanza da vicino l’SPQ-4 sperimentato sul Quarto. In un secondo tempo questa installazione venne sostituita da due piccole antenne poste in prossimità delle ali di plancia (appunto i cosiddetti radar Co.Ra.).
    Tuttavia anche i DDG vennero poi costruiti senza la presenza di questi apparati.
    Nel periodo 1986-1988 il Sagittario sperimentò un’altra versione del Co.Ra. con un’antenna fortemente direzionale realizzata dalla SMA e posta sul cielo delle plancia. La modalità operativa pre¬vedeva di effettuare solo una o due spazzate, in modo da evitare eventuali intercettazioni da parte dei sistemi di guerra elettronica avversari. L’operatore avrebbe poi dovuto effettuare in un secondo tempo un’indagine, analizzando il segnale e correlando i dati ottenuti, cosa che richiedeva una notevole esperienza, assolutamente non comune. Come trasmettitore era stato impiegato quello del SPS-702, che doveva indirizzare la propria emissione verso l’antenna del Co.Ra. o verso quella del normale apparato radar, in funzione delle esigenze.
    Esistevano tuttavia alcune limitazioni intrinseche al fatto che la PRF non sarebbe stata ottimizzata per il Co.Ra., ma sarebbe rimasta quella del normale radar.
    Il sistema Co.Ra. venne successivamente adottato dalle quattro fregate classe «Lupo» ed era facilmente identificabile per la presenza di un vistoso radome semisferico di color bianco sul cielo della plancia. Il radome era essenziale. Difatti l’antenna, di circa 2 metri, era sta realizzata con materiali molto sottili, in modo da mantenere i pesi leggeri e da ridurre le inerzie in gioco. Una simile struttura, tuttavia, non avrebbe potuto resistere alle sollecitazioni del vento, e dovette quindi essere racchiusa da una cupola. Questo radome non aveva uno spessore costante, in modo di assicurare la medesima impedenza anche sotto rollio, cosa fondamentale viste le prestazioni estreme che erano richieste. Lo scopo principale del Co.Ra. era di assicurare la designazione dei bersagli oltre l’orizzonte per i missili Teseo, permettendo inoltre la teleguida TG2 senza dover necessariamente impiegare l’elicottero, con tutti i rischi connessi.
    II Co.Ra, anche noto come SPS-702A, tuttavia venne penalizzato dalla scarsa capacità di prevedere le portate del sistema. Era stato previsto un sistema piuttosto complesso, denominato Pro.Co.Ra., che richiedeva di lanciare un pallone sonda per avere il profilo temperatura/umidità al variare della quota, a cui aggiungere il valore ditemperatura dell’acqua di mare, e di conseguenza determinare la permeabilità elettromagnetica. Indirettamente queste condizioni vengono valutate anche per i radar «normali»quando, in presenza di nuvole (e, di conseguenza, di una differente distribuzione di temperature dovuta all’ombra da esse proiettata) si manifesta un numero maggiore di falsi contatti (i cosiddetti «angels»), dovuti alla riflessione verso la sorgente di una minima energia per la variazione di impedenza incontrata dal fronte d’onda (cosiddetta «legge di Gordon»). I risultati, tuttavia, furono piuttosto insoddisfacenti e, soprattutto, mancavano di affidabilità, dato che apparentemente non si riusciva a determinare con sufficiente affidabilità se vi fossero o meno le condizioni per la propagazione a
    condotto superficiale. Mentre le fregate classe «Lupo» sono state ritirate dal servizio, in attesa di essere cedute all’estero, i complessi Co.Ra. sono stati sbarcati e andranno ad integrare la nuova rete radar costiera.

    La Marina Militare, tuttavia, non è stata l’unica a perseguire un simile programma. La Marina Sovietica fu quella che tentò maggiormente di sfruttare il fenomeno del condotto radar superficiale. i sommergibili lanciamissili delle classi «Echo-II» e «Juliet» erano equipaggiati con missili antinave «SS-N-3A Shaddock» (P-35 Progress, secondo la denominazione sovietica) e «SS-N-l2 Sandbox» (P-500 Bazalt) a lunga portata (rispettivamente 460 e 550 km). Questi missili supersonici dovevano scambiare informazioni con la piattaforma di lancio, che nel frattempo doveva rimanere emersa. Il controllo era assicurato da un radar a scomparsa Front Door/Front Piece. Le modalità d’impiego di questo radar erano piuttosto simili a quelle del Co.Ra. e la limitata altezza della vela del sommergibile comportava necessariamente il posizionamento del radar medesimo nel condotto di propagazione superficiale.
    Questa scelta era ancora più evidente nel caso degli incrociatori porta-aeromobili della classe «Kiev». A1 fine di controllare i missili «SS-N-12 Sandbox», queste grandi unità navali utilizzavano una variante dello stesso radar Front Door/Front Piece (anche nota col nome di Trap Door), con l’antenna a scomparsa situata in un apposito spazio a prora estrema. Se per i sommergibili poteva sussistere il dubbio, essendoci delle limitazioni intrinseche nella struttura della vela, per i grandi incrociatori della classe «Kiev» non potevano esserci altre interpretazioni: l’antenna a scomparsa del radar di guida Trap Door era stata sicura¬mente realizzata in posizione tale da con¬sentire di sfruttare la propagazione del condotto radar superficiale.

    Una nota interessante può anche derivare dall’analisi del sistema di difesa costiera che era stato proposto all’Iraq verso la metà degli anni Ottanta. In quegli anni l’Occidente considerava l’Iraq come un naturale baluardo contro l’integralismo islamico dell’Iran e pertanto forniva generosamente armamenti e supporto politico a Saddam Hussein. In questo scenario, condiviso da tutto I’Occidente, l’Oto Melara presentò all’Iraq uno studio per un sistema di difesa costiera integrato. Tra gli apparati proposti vi erano anche dei radar mobili concettualmente simili al Co.Ra. che avrebbero dovuto consentire alle batterie semoventi di missili Otomat di ingaggiare i bersagli al di là dell’orizzonte. senza dover necessariamente utilizzare aerei o elicotteri che avrebbero corso il rischio di essere abbattuti dalla caccia avversaria. Poi com’è noto arrivò l’embargo e il progetto svanì. Con il senno di poi non si può che esserne lieti. In caso contrario le forze navali della Coalizione avrebbero dovuto affrontare una minaccia molto seria durante la prima (1991) e la seconda (2003) Guerra del Golfo.

    Oggi Stati Uniti, Gran Bretagna, Cana¬da e Australia hanno in fase di implementazione reti radar costiere con coperture oltre l’orizzonte. Si basano su tecnologie completamente diverse da quelle del «Sarchiapone», difatti sono radar in banda HF (in grado di sfruttare la riflessione della ionosfera), con un parco di antenne distribuito molto lungo. Si tratta dell’Overseer dell’Alenia Mai-coni Systems, dei Jindalee Operational Network della Lockheed Martin e del SWR-503 della Raytheon. Queste soluzioni permettono di sorvegliare aree molto distanti, mantenendo fattori di discriminazione adeguati per poter distinguere i singoli bersagli. o per poter apprezzare, come nel caso del radar australiano Jindalee, i velivoli in fase di decollo e atterraggio sull’aeroporto di Dili (Timor Est), nonostante la distanza.
    L’ esperienza del «Sarchiapone» è stata per molti versi assolutamente unica e irripetibile. È stata una sfida tecnologica che la Marina Militare ha affrontato, ottenendo risultati sbalorditivi. O, in tempi di tecnologie avanzate, ma anche di elevate <……… formali», non sarebbe più probabilmente possibile ripetere una simile iniziativa con le risorse disponibili.
    II coraggio e l'inventiva di due ufficiali di Marina, l’Ammiraglio Calzeroni e l’Ammiraglio Compiani, hanno largamente supplito alle indubbie limitazioni economiche del Paese.
    Tra coloro che hanno avuto a che fare con il «Sarchiapone» e i suoi numerosi derivati, molti sostengono che si trattasse di un progetto incredibilmente avanzato, con prestazioni sorprendenti, ancora oggi insuperabili. Solitamente questi attribuiscono la fine del programma ad incomprensioni, relazioni interpersonali, e a inconvenienti tecnici facilmente superabili, ma non superati.
    Altri ancora parlano invece di un sistema decisamente innovativo, ma tecnicamente inaffidabile al punto da risultare scarsamente utilizzabile. Sicuramente la necessità di disporre di operatori estremamente ben addestrati per questo specifico apparato ha costituito un freno al suo normale impiego da parte di unità della Squadra. È probabilmente impossibile dare un giudizio incontrovertibile. Ormai resta solo il ricordo di una vera e propria epopea che ha coinvolto un minuscolo segmento della nostra Marina in tempi così lontani da poterne ormai parlare serenamente.
    MASSIMO ANNATI

    Un ultimo appello: se qualche antenna sopravvive ancora, sia pur se arrugginita. magari in un magazzino o abbandonata alle intemperie, potrebbe essere interessante ritrovarla e restaurarla per inserirla in ambito museale, in ricordo del periodo epico e irripetibile della sperimentazione di questo misterioso «Sarchiapone».

    IL RADAR CO.RA.
    imbarcato tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90 sulle Lupo.

    Radar con capacità di scoperta navale "oltre l'orizzonte" che faceva delle Lupo delle navi notevoli e molto simili alle navi russe con i loro missili antinave asserviti ai radar OTH "Garpun". Sfruttato solo pochi anni prima del ritiro e vendita delle fregate. Mi chiedo se i CO.RA. siano stati sbarcati (come credo) dalle Lupo prima della cessione al Perù e, in tal caso, se non potessero essere impiegati come radar costieri…
    Il nome CO.RA. sta, appunto, per Condotto Radar, cioè la possibilità di sfruttare condizioni ambientali particolari per assicurare portate ben oltre il normale orizzonte radar. I radar sono stati sbarcati dalle Lupo peruviane, e al loro è posto c'è un bel INMARSAT.
    Il problema del Co.Ra. era duplice. 1) il condotto non c'è sempre e per verificare la sua esistenza (prima di attivare la modalità di emissione OTH), bisognava effettuare misure lunghe e complesse; 2) il condotto, quando c'è, arriva a quote massime di 20-50 m s.l.m.. I radar costieri, invece, sono solitamente posti su alture per poter avere un migliore orizzonte radar.
    E' una questione puramente geometrica: un’antenna radar situata a 10 m di altezza può scorgere un bersaglio alto 20 m a non più di 27 km. ad esempio un’antenna radar situata a 10 m di altezza può scorgere un bersaglio alto 20 m a non più di 27 km, a prescindere da quanto potente e sofisticato sia il radar.
    Quindi per i radar costieri, al fine di avere SEMPRE una maggior portata, si preferisce ricorrere a postazioni elevate con radar "normali", invece che usare il Co.Ra a pelo d'acqua che a volte offrirebbe portate sorprendenti e a volte misere….

    PURTROPPO, ANCHE QUESTO E’ NECESSARIO CONOSCERE….

    DAL BLOG “LA VOCE DEL MARINAIO
    SPQ5
    Pubblicato il 26 febbraio 2011
    di Pietro Serarcangeli

    ovvero quando ti lascia un Amico…tragicamente.

    C’è stato un periodo della mia vita in cui sono stato imbarcato sulla fregata antisommergibile Castore. Ero poco più di un ragazzino, avevo 17anni ed ero al mio primo imbarco. All’epoca veniva sperimentato ed era montato sull’albero della nave, un nuovo tipo di radar che avrebbe dovuto scoprire non solo gli aerei a lunga distanza ma addirittura i sommergibili. Ricordo che noi lo chiamavamo impropriamente “il sarchiapone“.
    Il soprannome potrebbe far ridere ma, vi assicuro, all’epoca non c’era nulla di comico: infatti, durante il funzionamento del radar, l’equipaggio veniva avvisato di non circolare assolutamente in coperta perché le sue “emissioni” erano molto dannose per la salute.
    Ci era stato detto che coloro che si fossero trovati nel fascio delle onde elettromagnetiche emesse dal radar, potevano diventare sterili.
    Non ci era stato detto che potevano provocare dei tumori come la leucemia.
    Questo lo scoprirono, in seguito e a loro spese e sulla loro pelle, quel gruppo di specialisti radaristi che lavoravano attorno al radar SPQ5 sigla che lo identificava.
    Oggi molti appartenenti al gruppo sono deceduti per malattie tumorali correlate a quel tipo di attività: c’è, purtroppo, chi non ha retto alla malattia e, disperato nel cervello, nel cuore e nell’anima, ha preferito farla finita anzitempo gettandosi da un viadotto…
    Non erano sufficienti le “Vittime dell’amianto”. No!
    Ci volevano anche le onde elettromagnetiche nefaste! Eravamo proprio carne da macello!!! Eravamo proprio alla stregua di “materiale di consumo“…

    ERAVAMO PROPRIO MENO DI NIENTE.
    Addio Amico mio, come hai vissuto gli ultimi istanti della tua esistenza?
    Hai guardato verso il cielo azzurro?
    Hai pensato ai tuoi figli, ai tuoi cari?
    Hai pianto nell’attimo così tragico della tua decisione mortale?
    Hai pensato a chi, responsabile, ti ha spinto verso la parole FINE della Tua vita?
    Quanta sofferenza nel tuo cuore, quanto dolore nella solitudine di quell’attimo in cui, in un attimo, tutto finisce!!!
    Tu sei andato. Tu non sei più. Tu entri a far parte dei Ricordi…
    Ha un perché tutto questo?
    Hai scelto di non vivere più…
    Nel mio piccolo e ricordandoti ti auguro, con tutto il mio cuore, che tu possa aver trovato quella pace che, su questa terra spietata, ti è stata negata.
    Addio amico mio, ovunque ti trovi, ovunque Tu sia…

    Per concludere, a mio modesto parere, l’ultima evoluzione tecnologica del radar “SPQ5 Sarchiapone” è il dispositivo elettronico della società romana Elettronica S.p.A. “NETTUNO 4100”, ben visibile sulla prua e sulla poppa del “CAVOUR”, sui caccia lanciamissili DORIA e DUILIO e sulle ultime FREMM italiane e francesi….
    (Come si potrà notare, onde evitare spiacevoli conseguenze all’equipaggio delle nostre navi, risulta posizionato chiaramente con l’antenna rivolta verso la parte esterna delle sovrastrutture della nave.)….

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