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Storie di ordinaria ignoranza

di Marina Cometto (*)


Il Piemonte è da sempre stato una terra chiusa e me ne rammarico molto.
Spero, ogni volta disillusa, che le persone riescano a superare i timori della diversità, non perché sia uno stato inferiore di cittadinanza riconosciuta, ma diversità intesa come non usuale.
Ma allora solo l’usuale è bello e coinvolgente?
Lunedì mattina, dopo un istruttivo giro presso l’INPS per la verifica della disabilità di mia figlia Claudia, sono ritornata a casa ed ho detto a mio marito:
– “non fa ancora tanto caldo! Approfittiamo per fare uscire nostra figlia Claudia a prendere un po’ di sole”.
La vesto, calzoncini, maglia, calze, elastici per capelli, tutti in tinta e preparo anche la borsa per l’emergenza sete con due vasetti di acqua gelificata.
Ci avviamo verso i giardinetti pubblici dove, presso le giostrine dei bimbi; vediamo una panchina con un po’ di ombra, ci sediamo, sistemiamo la carrozzina di Claudia e sorridiamo a dei bambini che timidamente ci guardano (giustamente, non conoscono i problemi della disabilità, loro sono innocenti).
Si avvicinano e non osano parlare, io gli sorrido, Claudia no perché non era preparata.
Una dei tre bambini, con i riccioli biondi, sorride si avvicina incuriosita ed io, già pronta, le racconto che quando Claudia era piccola si è ammalata ed il cervello, che noi tutti abbiamo e fa funzionare il nostro corpo, ha sofferto, si è ammalato gravemente per cui Claudia non può camminare né parlare.
Per un bambino piccolo questo spiegazione è sufficiente per capire il motivo della carrozzina, dei sorrisi, delle carezze, e spesso a questo punto partono le domande, come mangia, chi la veste, chi la lava, insomma un bell’insegnamento.
Invece no: il nonno subito la richiama:
– “vieni andiamo a casa!”.
L’altro bambino incuriosito si fa coraggio, ci sorride e si avvicina alla carrozzella. Anch’esso viene richiamato,
Il terzo bambino, molto più piccolo, viene posto sul passeggino dall’adulto tutore e, in meno che dir si voglia, si allontanano da noi.
Quanto male ha fatto l’adulto ai bimbi che dicono di amare?
Se mai verranno aiutati ad avvicinarci, a prendere coscienza interiore della disabilità, come potranno crescere questi bambini quando diverranno adulti?
Claudia e le persone come lei, incutono timore negli adulti che frenano la spontaneità dei bambini.
Quanto accaduto mi convince sempre più nella necessità di fare “cultura” della disabilità.

(*)
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